Il prof. Volante nel suo interessante blog ha rilanciato la battaglia per Poveglia (http://usicivici.wordpress.com/2014/05/01/la-gara-per-poveglia-da-demanio-a-bene-comune/ )come bene di tutti contro la speculazione . Ne ha parlato e vi ha aderito anche ‘il Fatto Quotidiano’ qui: http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/05/02/va-allasta-lisola-posseduta-dal-demanio-veneziani-in-coda-per-ricomprarsi-poveglia/970050/
Essendo una realtà vicina anche territorialmente è utile che sia portata avanti e spero, ovviamente, che sia vinta, ma vorrei svolgere alcune notazioni di critica su un piano costruttivo e delle rivendicazioni:
- Attenzione a questa retorica dei ‘beni comuni’. I beni comuni rischiano di restringere anziché ampliare il raggio della tutela pubblicistica. Se difatti andiamo a vedere l’elenco dei beni demaniali nel codice civile (artt.822ss) troviamo un elenco molto più esteso del catalogo elaborato dalla Commissione Rodotà. Il problema è, quindi, capire che Stato vogliamo, come ricuperare all’uso pubblico quei beni (ne cito uno solo: la ferrovia di cui abbiamo parlato https://chininodistato.wordpress.com/2014/04/09/viaggia-in-treno-pubblico-io-ci-tengo/ ). Anche l’elaborazione sui beni comuni, peraltro si rifà a categorie costituzionalistiche proprie dello Stato sovrano: Mattei, ad esempio, in ‘Beni comuni, un manifesto’ (Laterza) elogia le costituzioni di Ecuador e Bolivia per aver inserito i diritti della ‘Madre Terra’. Giustissimo, ma parliamo sempre di costituzioni a fondamento nazionale. Ancora, conclude il proprio saggio parlando della messa a disposizione dei beni comuni a beneficio delle ‘comunità di lavoratori o utenti’ rimandando espressamente all’art.43 della Costituzione. Condivido anche quello ma è evidente che, ancora una volta, non si sfugga dalla dimensione della sovranità statuale. Voglio dire: tutto bello e interessante, ma francamente mi pare ci sia qualcosa di più urgente da fare che alambiccarsi a speculare su temi, per quanto affascinanti, di difficile spendibilità operativa ma che, nel contesto storico attuale, necessitano comunque delle strutture statuali per essere attuati. Prendersela con la sovranità quando essa è il prerequisito logico per attuare quelle opzioni politiche, come appunto hanno fatto, pur tra mille contraddizioni, i paesi latinoamericani mi sembra un nonsenso. Questo rischia di tradursi in una ritrazione delle rivendicazioni anziché in un rilancio di cui c’è un enorme bisogno oggi.
1) Non si può concentrare la battaglia solo su quello che è già dello Stato o di altri enti pubblici territoriali. Certo è fondamentale in questa fase preservare il patrimonio pubblico, anzi quella è la madre di ogni battaglia, oggi, ma bisogna anche saper rivendicare un ‘qualcosa di più’ come mi sembra si stia facendo a Napoli.
3) Non si può prescindere dallo studio di interventi pubblici complementari anche nel campo più strettamente economico/commerciale. Anche qui, non se ne esce se si continua a identificare il Comune con l’ufficio anagrafe e lo Stato con la volante appostata al lato della strada. Lavorare per un supporto, non solo e non necessariamente monetario, pubblico alle imprese ‘recuperate’ e autogestite è, secondo me, la sfida che gli enti pubblici devono essere in grado di cogliere. Un intervento pubblico che non sia, quindi, la stampella del capitalismo privato in piena continuità la logica neocorporativa attuale. La linea programmatica è efficacemente tracciata da Naomi Klein in questo bell’intervento alla Vio.Me di Salonicco, l’impresa recuperata di cui abbiamo già detto specialmente rispetto al nesso bisogni della comunità, cui le imprese devono saper rispondere, e rispetto per l’ambiente (parla un inglese molto scandito, quindi si capisce…Poi c’è la consecutiva in neoellenico 🙂 ).
http://www.viome.org/2013/06/naomi-klein-speaks-at-self-managed.html
Alberto Leoncini