Sono stato invitato dall’amica Samantha Silvestri a intervenire al primo fine settimana di questa bella iniziativa: il laboratorio teatrale diadainconsupetrafra donne tenutosi a Quinto di Treviso, quindi, su espressa autorizzazione dell’organizzatrice condivido con voi la scaletta dell’intervento oltre a una serie di materiali citati nel mio intervento, anche perché sostanzialmente affine ai temi di questo blog, per quanto qui si perda tutta la ricchezza del dibattito.
Proprio mentre stavo stendendo l’articolo per il prossimo numero di Indipendenza è arrivato l’invito a questa iniziativa; per tale articolo mi stavo riprendendo alcune pagine da Naomi Klein ‘Una rivoluzione ci salverà’ in particolare laddove parla della necessità di ‘un tempo di maggese’, di riscoprire cioè dimensioni ‘altre’ per favorire, tra l’altro, il venire in essere della vita. L’autrice racconta, a partire da pag. 556, il suo desiderio di avere un bambino e il difficile percorso per concepirlo e portare a termine la gravidanza. Sottolinea come la capacità di adattamento riproduttivo (resilienza) della donna, e così anche degli ecosistemi, non implichi automaticamente la correlata capacità di ri/generare nuova vita e dare così continuità alla specie. Sopravvivere non vuol dire essere in grado di ri-dare la vita. In ragione di ciò e nel quadro delle ‘nuove’ rivendicazioni dovrà esservi anche il riconoscimento di un diritto vero, non sulla carta, cioè, alla genitorialità e alla sua conciliabilità (in termini di redditi e orari di lavoro) con la dimensione lavorativa.Qui un lavoro sulla situazione demografica.
Nel quadro delle nuove rivendicazioni da formularsi c’è, ovviamente, il tema di un quadro normativo organico per l’autoimprenditorialità, il workers buyout e il recupero di unità produttive. A questo proposito non posso che condividere con voi, per chi volesse esercitarsi con l’inglese (o il neoellenico…) l’intervento che la Klein ha compiuto alla VIO.ME. di Salonicco, fabbrica occupata e autogestita dai lavoratori.
…le altre rivendicazioni le troverete sul prossimo numero di Indipendenza.
Resilienza è il concetto chiave della riflessione sviluppata. Essa è il fondamento delle ‘transition town’ , cioè delle comunità che sperimentano e operano percorsi di riappropriazione delle determinazioni collettive. In realtà non è una cosa particolarmente nuova come si può leggere qui, e come ci siamo detti e già nel passato le due principali culture politiche del Novecento, quella socialista e quella cattolica, si sono affermate attraverso il municipalismo ed anche oggi, anche chi non ama l’etichetta di ‘partito’, come il Movimento 5 Stelle, deve fare i conti con il fatto che l’affermazione e il radicamento non possano prescindere dalla presenza e penetrazione negli enti locali, nelle aggregazioni fuori dalla rete e nell’intervenire nelle situazioni (comitati, civismo etc…) di organizzazione collettiva. D’altra parte la decostruzione delle comunità è un fenomeno estremamente ampio e articolato e con una ben precisa coloritura ideologica, quella cioè di smantellare il tessuto sociale e le comunità favorendo l’inurbamento, le nuove povertà, la precarietà come modo di organizzare la vita collettiva e, ancora una volta, dalla Grecia ci arriva la direzione di marcia verso cui siamo diretti e i fondamenti ideologici che la caratterizzano.
Come leggere, quindi un laboratorio teatrale in uno spazio municipale?
Alcuni spunti ci arrivano da qui (Tra l’altro, Italia che cambia è partner anche di Fa’ la cosa giusta:
vi riporto comunque il video esteso di quello che è un passaggio, Indipendenza parla di ‘asse sull’educazione’, ineludibile. Il ri/organizzare gli spazi della convivenza (enti locali, istituzioni dell’istruzione, sindacati, ordini professionali…) è quindi una sfida imprescindibile per chi si candidi a proporre un’alternativa alla ‘monocultura della crisi’(Bagnai).
Organizzarsi ‘senza chiedere il permesso’ è quindi una necessità per i cittadini che vogliono cambiare il mondo e non hanno perso lo scontrino come scrivevo.
Qui vi ripropongo una puntata di PresaDiretta dall’eloquente titolo Senza Donne sul gap di genere in Italia. Dal 2010 la situazione è, casomai, peggiorata…Cerchiamo un po’ di capire perché…
Il personale è politico: occorre sottolineare come le questioni di genere siano strettamente avvinte alle rivendicazioni sociali: fermata l’affermazione dei diritti della sfera economica (diritti costituzionali/libertà nello Stato o diritti di seconda generazione che seguono quelli di prima, affermatisi con la rivoluzione illuminista e liberale, ‘libertà dallo Stato’ come la libertà di pensiero, parola, stampa, diritto a un processo pubblico con giudice naturale precostituito per legge, insomma, quello che gli imparati chiamano l’habeas corpus) anche le conquiste nella direzione di una parificazione fra i cittadini si sono fermate o, nel migliore dei casi, si sono tramutate in una ‘merce di scambio’. La chiave di lettura che do è che tale fenomeno sia conseguenza del combinarsi dei processi di privatizzazione e della fine della repressione finanziaria, cioè della possibilità per la collettività di controllare, attraverso i propri enti esponenziali, il movimento dei capitali con strumenti di natura amministrativa e legislativa, a partire dal divorzio Banca d’Italia- Tesoro. La decostruzione della sfera pubblica e il radicamento delle opzioni economiche sul debito, prima pubblico e poi privato, hanno innescato anche una preclusione generalizzata per l’ampliamento dei diritti.
Il punto fondamentale è, ovviamente, quello del ‘potere’ e della sfida del governo: è un po’ puerile pensare che ci sia una diversità nella gestione del potere fra uomini e donne. Margaret Thatcher o Condoleezza Rice non si sono fatte troppi scrupoli a usarlo in modo spregiudicato. E come spiegavo qui parlando del discorso del ministro Guidi (donna…) vengono magnificati i trattati di libero scambio tra cui in particolare il TTIP
E se va male? Cioè se vincono ‘un certo tipo’ di donne(o di uomini)…
Cosa significa in concreto? Beh, ve la faccio breve: questa, se non l’avete visto per intero, vedetevelo è la situazione in cui toccherà lavorare alle donne (e agli uomini…) se passa il TTIP (con i suoi ‘vantaggi’):
Non voglio spaventare nessuno ma fra il NAFTA che è la base giuridica delle maquiladoras e il TTIP non c’è questa abissale differenza. Sapete, non ci si mette molto a scivolare indietro. Proiettatevi non dico trent’anni fa, ma dico vent’anni fa. Io c’ero, al cambio reale… voi vi ricordate che fosse legale lavorare per 150/200.000 lire al mese? No, però oggi si lavora anche per 150/200 euro, e si ringrazia pure. Quindi, care donne (e cari uomini…) occhio, perché el diablo (vedi il film…) è fra noi e si chiama liberismo.
Per concludere, il ricordo di una grande donna, che per la cronaca fu anche una grande attrice…
buon lavoro a tutte per i prossimi incontri!
Alberto Leoncini
ps. come già annunciato riprenderà ScalaMercalli… Come ci è stato spiegato sopra da Lorella Zanardo, si vota anche con il telecomando. Vi riporto uno stralcio dell’annuncio: Vi aspetto dunque su RAI3 dal 27 febbraio [2016] per sei sabati, dopo le 21,30 […] Guardare Scala Mercalli è un po’ come votare: se rimarremo pochi, la politica registrerà un segnale debole da parte della società e assegnerà ai temi ambientali un peso trascurabile, se saremo molti forse potremo cambiare le cose.
breve addendum: perché ‘una rivoluzione ci salverà’? Beh, una risposta la trovate qui, sono parole di Paolo Prodi, fratello del più noto Romano: Quello che ha distinto l’Occidente dalle altre civiltà è la capacità di progettare un modello sociale nuovo. Spesso con gli aspetti tragici della sommossa, certo, ma all’interno di una visione di sviluppo.